PRESENTAZIONE


"Ma perché lo facciamo, non lo sappiamo: 
i motivi che si citano sono troppi. 
Intrecciati fra loro, e insieme mutualmente esclusivi. 
Alla base di tutti, si intravede un archetipo; 
sotto l'intrico del calcolo, sta forse l'oscura obbedienza 
a un impulso nato con la vita e ad essa necessario, 
lo stesso che spinge i semi dei pioppi 
ad avvolgersi in bambagia per volare lontani nel vento, 
e le rane dopo l'ultima metamorfosi a migrare ostinate 
di stagno in stagno, a rischio della vita" 
(Primo Levi, L'altrui mestiere, Torino: Enaudi, 1986, pag. 21)

 Questo lavoro nasce in sede di studio della tematica "Sistemi uomo-macchina in astronautica. Per un'antropologia astronautica" come tesi di laurea specialistica in ingegneria aerospaziale presso il Politecnico di Torino, con relatore il prof. Vittorio Marchis

Uno dei dibattiti più importanti di cui si discute in astronautica è se l'esplorazione spaziale spetti alle sonde automatiche o all'uomo in prima persona. Questo tema obbliga chi interviene nel discorso a presentare le spinte, i vantaggi e gli obiettivi per l'una o l'altra scelta strategica. Le motivazioni per uscire dalla Terra son tante, come ci ricorda Primo Levi. E anche troppo complesse ed eterogenee per esser affrontate in questa sede. Spesso però una trattazione del genere tralascia l'esperienza che sperimenta una persona che abbandona l'ambiente terrestre, in quanto viene ritenenuta una singola storia non significativa per la storia dell'umanità (record a parte). Invece, come la maggior parte delle storie, sono storie per l'umanità.

Nelle attività spaziali umane stanno prendendo sempre più voce le istanze legate alla dimensione personale e antropologica degli astronauti (si pensi alle Expedition semestrali sulla Stazione Spaziale Internazionale e al mantenimento di un equipaggio di sei membri).
L'ingegneria già da tempo considera il fattore umano durante l'attività di progettazione, realizzazione e vita operativa, e molti contributi da tali studi sono  già stati implementati nella progettazione di missioni e veicoli spaziali migliorando notevolmente il raggiungimento degli obiettivi di missione e permettendo un soggiorno spaziale più "umano" all'equipaggio.
Nonostante ciò, nell'approccio Human Factor è ancora grande il rischio di considerare l'astronauta non nella totalità della sua persona, bensì come un semplice corpo fisico, un utente, una parte del sistema tecnico, un elemento deterministico. Un astronauta invece è ben più di questo: è un essere umano carico di una sua storia personale, di un mondo relazionale e di affetti, di una propria struttura antropologica e di una  propria dimensione sessuale. Come ogni uomo un astronauta gioisce, ha paura, ride, ama, piange, soffre, contempla, si annoia, ... Come ogni persona un astronauta si stupisce. Custodisce le domande fondamentali che da secoli accompagnano l'uomo: il senso della vita, la sua posizione nel cosmo, il muro dei propri limiti di fronte all'universo "infinito".
Tutte queste dimensioni dell'umano non possono essere trascurate in missioni spaziali che sempre più richiedono un soggiorno più prolungato in orbita o in viaggi interplanetari, in imprese che chiedono di abitare il sistema solare, di allargare i confini della Terra "culla dell'umanità" (K. Ziolkowski). Chi è l'uomo che viaggia nello spazio? E' lo stesso uomo che millenni fa ha costruito le piramidi in Egitto? Oppure lo spazio cambia l'uomo? Lo fa evolvere? Lo fa de-evolvere?
Lo stato dell'arte dell'astronautica mondiale, anche nel breve-medio futuro, sembra essere ben lontano dal realizzare delle seconde Terre, colonie extraterrestri autosufficienti in cui nuove si possano sviluppare nuove comunità di persone indipendentemente dal "vecchio" pianeta di origine. Dagli albori dell'astronautica e probabilmente almeno fino al XXII secolo o più, tutti i viaggi spaziali con equipaggio prevederanno nei profili di missione il rientro sulla Terra. Chi è l'uomo che torna dallo spazio? Come vive sulla Terra? Qual è il portato storico-personale dell'esperienza che ha vissuto? Quale rapporto vivrà dopo il volo con il pianeta Terra?
Son tutte dimensioni e istanze che apparentemente sembrano non rientrare nel campo dell'ingegneria aerospaziale. Ma l'attività tecnica umana è spinta da motivazioni e ricerche di senso che spesso risiedono in maniera implicita durante la definizione e progettazione di un sistema ingegneristico. 

Dall'analisi di tutte queste dimensioni, dalll'approccio personalistico di studio dell'attività astronautica, dal mettersi in ascolto dell'uomo che reclama silenziosamente i suoi diritti a poter essere uomo in ogni parte dell'universo, è possibile condensare e raccogliere delle possibili delle ricadute ingegneristico-progettuali che rischierebbero altresì di venir trascurate dal semplice, seppur in continuo sviluppo ed ampliamento, Human Factor. 

Sondando l'aspetto antropologico dell'homo spatialis l'obiettivo che ci poniamo con questo lavoro (che non può necessariamente, e non deve, essere globale o definitivo) è anche quello di inaugurare un nuovo modo di progettare e contemplare missioni ed attività spaziali. Perché non sia la macchina  a chiamare e condizionare l'uomo ma l'uomo a farsi comprendere pienamente dalla macchina e possa così svolgere doverosamente il proprio servizio.

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